«Sono un branco di porci» gridai attraverso il prato.
«Tu da solo vali più di tutti quanti messi insieme.»
Ambientato nell’età del Jazz, in pieni Roaring Twenties, Fitzgerald ci fa conoscere tutte le contraddizioni di quest’epoca, a partire dal protagonista Gatsby, uno dei personaggi più soli di tutta la letteratura, la cui vita presenta molte similitudini con quella dello scrittore.
Non so spiegarvi bene quanto mi sia affezionata a lui, posso solo farvi capire perché mi si strige il cuore ogni volta che ci penso: Gatsby è ricchissimo, ha una gigantesca villa dove organizza regolarmente feste a cui tutti gli abitanti di West Egg partecipano, ha un passato misterioso e su di lui girano tanti pettegolezzi, è sempre sulla bocca di tutti ma nessuno lo conosce davvero.
Gatsby vive per gli altri, ma soprattutto per Daisy, la donna che gli ha rapito il cuore prima di partire per la Prima Guerra Mondiale e a cui aveva giurato fedeltà. Per lei Gatsby ha fatto una vera e propria ascesa sociale, incarnando il “sogno americano” e passando da essere un contadino al ricco proprietario della villa di fronte a quella di Daisy e del marito Tom.
Un uomo ancorato al passato e all’illusione dell’amore di una donna che non è quella che crede; mi ha fatto capire quanto tempo sprechiamo dietro a persone che non ci meritano.
«Parlò molto del passato e ne dedussi che cercava di ritrovare qualcosa, forse un concetto di se stesso che era scomparso nell’amore per Daisy.»
La scrittura di Fitzgerald è fortemente evocativa, fatta di immagini e simbolismi soprattutto attraverso i colori: quello dominante quando si parla di Gatsby è il giallo, simbolo di denaro e ricchezza, mentre quello di Daisy è il verde, simbolo di speranza ma anche di illusione; tuttavia lo stile ricco ed elegante risulta a tratti pesante.
Un libro sicuramente da approfondire e che lascia un grande senso di tristezza e solitudine. Da leggere almeno una volta nella vita.