«Sta prendendo un grosso abbaglio. Se sarò io il comandante, questa diventerà un'arca ciliegio. Senza bussole o carte nautiche. Una nave che non navigherà, fingerà soltanto di navigare.»Abe Kōbō è noto per la sua scrittura fortemente surreale e per mettere in risalto il tema tipico degli scrittori del dopoguerra ovvero la crisi d’identità dell’uomo moderno e l’alienazione nella società; L’arca ciliegio non fa eccezione.
Il protagonista di questo romanzo, chiamato “maiale” o “talpa” per il suo aspetto fisico e per la sua indole sedentaria, è un misantropo paranoico che vive da anni in una cava di pietra piena di cunicoli e grande come una vera e propria città, che considera la sua Arca, nonché un rifugio antiatomico che lo salverà da un’imminente guerra nucleare. Quando esce in superficie si porta dietro dei “biglietti per la sopravvivenza” alla ricerca di persone da imbarcare e riuscirà a convincerne tre, la cui vita è sempre stata condizionata dalla paura del pericolo della catastrofe nucleare, conseguenza della guerra fredda.
La maggior parte del romanzo è infatti ambientata all’interno dell’arca/sotterraneo dove le azioni dei personaggi sfociano via via in situazioni sempre più bizzarre e al limite dell’assurdo, molto difficili da seguire anche per i lettori più attenti e già abituati allo stile antirealista, onirico e parodistico di Abe Kōbō dove tutto vuol dire più di quello che sembra, dove bisogna scavare in profondità e superare i deliranti dialoghi che pregnano il romanzo per capire appieno il messaggio dell’opera.
Qui, infatti, il pericolo dell’olocausto atomico non è altro che una metafora letteraria per denunciare la rinascita dello spirito nazionalista giapponese che aveva preso piede nel Giappone del dopoguerra con l’occupazione americana. L’idea del rifugio antiatomico è infatti il prodotto di una filosofia della sopravvivenza di stampo fascista in quanto presuppone la scelta di chi deve sopravvivere e chi no, scelta che è proprio il protagonista a fare decidendo chi far imbarcare (e quindi chi salvare).
All’interno dell’arca ognuno vive liberamente ma poi si
sente la necessità di creare una struttura gerarchica e dare un ordine
per sopravvivere: inizialmente è il protagonista il comandante, ma poi
perde il controllo e un piccolo gruppo si impone assumendo il comando
assoluto dell’arca che diventa metafora di un piccolo stato.
La
posizione di Abe rispetto allo stato è tuttavia ambigua in quanto,
nonostante il suo definirsi apolide e il fatto che appoggiasse le idee
marxiste essendo critico nei confronti di tutti i tipi di organizzazione
collettiva, in questo racconto, ammette che lo stato è necessario per
un minimo di controllo e di mantenimento dell’ordine.
Come già
detto in precedenza, il romanzo è molto confusionario e all’insegna
dell’assurdo, va letto con estrema attenzione e per capirlo è necessario
aver studiato sia lo scrittore, sia il periodo storico e, nonostante io
l’abbia fatto, mi sono persa più volte tra i dialoghi e sono rimasta
infastidita dai continui commenti sessisti ed estremizzati che il
protagonista fa nei confronti dell’unica donna presente sull’arca (anche
se sono sicura che l’intento di Abe fosse proprio quello di delineare
un personaggio così meschino e repellente).
Se c’è una cosa
che però non mi delude mai di questo autore sono i finali sensazionali e
aperti a mille profonde interpretazioni dove tutto diventa più chiaro e
si capisce tutta la sua genialità.
Quindi a chi consiglierei
questo scrittore? Sicuramente agli amanti del Murakami più assurdo e
onirico (così capirete da chi ha preso ispirazione e vi meraviglierete
scoprendo quante cose hanno in comune) ma non consiglierei quest’opera
come primo approccio (provate più che altro con La donna di sabbia o Il
quaderno canguro). Se vi ho incuriosito però sappiate che L’arca
ciliegio, così come tipo tutti i suoi romanzi, è fuori catalogo e
introvabile se non al prezzo di un rene + iva e nelle biblioteche ben
fornite! Piangete con me?
Titolo: L'arca ciliegio
Autore: Abe Kōbō
Anno di pubblicazione: 1997
Pagine: 252